Testi critici

Origgi, la cui pittura si sveglia tra stridori tonali, con una nostalgia di palpiti teneri, di diafane apparizioni, dove ancora fluttua una nebbietta imprecisa, dove ancora non c'è gioia, non c'è piena luce; ma pronto a buttarsi allo sbaraglio su di una larva tra mostri di verde e di rosso [...] curvo sul quadro in una industriosità chimica, lotta con freddezza, con gli echi dolorosi, con le brume della sua città, con il floreale di certa borghesia milanese, attaccando il filone lombardo e ottocentesco con fantomatiche apparizioni. [...]
Paolo Cassiani Ingoni (1963)

L'area di Origgi è quella della neofigurazione al di dentro della quale ha trovato una sua autonomia ricca di fantasia, di disincantata ironia, di immagini surreali. Il segno largo e libero, sfuggito ad una sorta di rigidità neoliberty, traccia spazi cosmici dove tra cieli temporaleschi e lente curvature terrestri si affollano macchine alate e immagini umane a recitare una sorta di delirante kermesse. L'umana vicenda, piena di sogni e di mostri, restituitaci nei termini di una grottesca, assurda carnevalata.
A. Natali (1965)

Nella pittura di Roberto Origgi lo spazio-paesaggio si materializza come autoproiezione di una vicenda fantastica, recuperando in certa misura un equilibrio dinamico caro ai futuristi. Il decantato impasto materico rivela tracce della Pop Art, per quanto di iperrealistico affida alla negazione dello stemperato colore acrilico, al segno, al contorno eccessivamente determinato. Traccia non respinta di razionalità, la costruzione procede coinvolgendo l'osservatore in una vicenda prospettico-temporale. È slancio in un moto aereo verso curve di orizzonti, di turbini e annuvolamenti fantastici (speranza e paura). Di contro, questo moto afferra nei primi piani una serie indicibile di oggetti situati al di qua di ogni possibile riferimento semantico. [...]
G. Graziani (1976)

Viaggio immaginario nei paesaggi di una vibrante avventura in cui luce, colore, profumi, elettriche tensioni, magnetismi di presenze, racconti di draghi pietrificati in pulviscoli abbaglianti e in fosfemi iridescenti, si propongono in un succedersi avvolgente e coinvolgente, quasi avventura non-stop nel mondo che fu caro a Dino Buzzati. Streghe vestite di tramonti rosa e neri si riuniscono in sabba fosforescenti e il fortore dei sottoboschi impregna i capelli di seduzioni da languori finali. L'aria di cristallo increspa di palpabilità le superfici che si esaltano in riflessi e rifrazioni rapinose. Metalliche lame di vento penetrano i corpi solenni e li fanno risuonare di lamenti che, ascoltati nel culto del silenzio, raccontano di santi viaggiatori e di miracoli da alba del mondo. [...]
A. Lunardi (1984)

In Origgi la dimensione spaziale si definisce e si articola in stretto rapporto con gli aspetti strutturali dell'impianto compositivo; la dimensione temporale è quella poeticamente sospesa di un mondo figurativo autonomo, dove non è difficile riconoscere oggetti, animali, piante, montagne, fondi marini, anche se trasfigurati in pure presenze pittoriche che nascono dall'incrocio di linee e colori.
F. Poli (1987)

Preoccupato più dalla rispondenza poetica dell'immagine che dalle logiche stilistiche e linguistiche, Origgi dunque lavora per accumuli e per sottrazioni, per rigonfiamenti e per ossificazioni dei riferimenti figurativi di un suo sguardo naturalistico interiore. Uno sguardo rivolto al mondo oggettivo delle cose ma soprattutto a quello dell'anima, magari entrambi reinventati nel lavorio della memoria e della fantasticazione.
G. Seveso (1995)

Protagonista assoluta è la luce. Magari soltanto un timido raggio di sole che si insinua a fatica nel fitto intrico di un bosco e ne rischiara un angolo, un “interno”, oppure il bagliore di lampi che lascia vedere, d’improvviso, una barchetta in balia del mare in tempesta; o, ancora, un’atmosfera dorata che rischiara il paesaggio dolce delle colline. Della luce, a fasci, a guizzi o diffusa lievemente da un cielo chiaro, l’artista si serve, infatti, per inquadrare e scrutare dal di dentro, radiografare quasi, l’oggetto della sua continua ricerca: la natura. “La natura è piena di idee”, dice Roberto Origgi; e la freschezza, la vitalità di questo pensiero si rispecchiano perfettamente nei quadri.
S. Banti (1992)

È un pittore non inseribile in una corrente definita: insomma è un artista originale, che sa ordire un intrigante e fantasioso fabulismo, dove il colore (acrilico ed olio su tela) recita un ruolo preponderante per ricchezza di giochi tonali, semitonali, ed il segno, pur ridotto ad una tessitura grafica esigua, non perde la sua incisiva e in certi casi pungente unghiata. Sono fiabe queste che Origgi ci racconta? O piuttosto sogni, dove i suoi personaggi (uomini, alberi, cani, uccelli) vivono in boschi come imbevuti in una malia che li rende soltanto veicoli simbolici della memoria, in cui tutto diviene metafora delle dolcezze, degli spasimi, delle illusioni, delle angosce, dei tabù dell'esistenza? Non è facile districare la matassa di questi suoi spettacoli onirici: talvolta trasognati e limpidi come incatenate visioni infantili, talaltra percorsi da una corrente di inquietudine che mette i brividi, come succede in certi incubi che accompagnano le nostre notti più agitate.
G. Pre (1998)

Da anni ormai si aggira nei suoi boschi incantati o sprofonda in abissi mai visti, dove incontra creature impossibili. È come se Roberto Origgi avesse volontariamente deciso di isolarsi nella sua realtà, chiudendosi non solo alla città ma anche al secolo che gli tocca di vivere. E lì, in quelle foreste inventate, in quegli improvvisi paesaggi subacquei, l'artista sosta come un grande viaggiatore ferito dal ricordo (il tempo presente) e strenuo custode di un piccolo tesoro che porta con sé: la fantasia e la capacità e il gusto di un raccontare fiabesco.
L. Barbera (2002)

Roberto Origgi, colori che raccontano storie di mondi straripanti di morbidezze vegetali, di prati inondati dal sole e colorati dai fiori. Gli elementi raffigurati sono fantastici e fiabeschi e gli esseri umani potrebbero forse annidarsi nel calice di un fiore o nei grani di un melograno succoso. Le piante sono alte, complesse, con tronchi di luce fatti arrivare apposta da una foresta tropicale. Evidente è la compresenza di una visione lontana che combacia e si sovrappone con la focalizzazione del particolare. Sono mondi paralleli unificati dall'armonia e dal sogno.
D. Airoldi (2006)